La cultura

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LA CULTURA

Da parte di Henri Bartoli
Estratto della prefazione al lavoro di Dominique Leroy
“Economia delle arti dello spettacolo vivo – prova sulla relazione tra l’economico e l’estetica„
Il harmattan Ed., Parigi 1992

Henri Bartoli

La cultura non è “un settore„. È “la definizione anche dell’uomo„.

La cultura è inizialmente ricevuta, ed in questo senso è acquisita, memoria, tradizione, conoscenza delle opere dell’arte e del pensiero che leghiamo le generazioni scorse e che ci procura la generazione presente ; ma, è così espressione immediata, libera, concreta, della vita della società nel suo sforzo per raggiungere più sù un grado d’umanità, forza creatrice di nuovi valori umani.


Se essenziale sia il ruolo dell’eredità, nessun dominio della cultura consiste nell’accumulazione di conoscenze e nella guardia di un deposito. Non è “la conoscenza„, ancora meno un campionamento di conoscenze discontinue, erano più o meno bene controllati dalla scienza. Non è “una quantità„ di nozioni apprese e trasmesse. È una partecipazione alla creazione della realtà economica e sociale, una trasformazione profonda dell’argomento che lo dispone a più possibilità con più chiamate interne, ed a più capacità di risposta alle esigenze di presenza che lui vengono dal mondo esterno. Samuel von Pufendorf (*) diceva di essa, nel 1686, che “permette a ciascuno di accedere ad una vita realmente umana grazie al contributo, ai lavori ed alle scoperte degli altri uomini, ma anche grazie allo sforzo ed alla riflessione personali di ciascuno, o anche grazie all’ispirazione divina„. Jean Lacroix detto di essa, oggi, che ha per oggetto di situare l’uomo rispetto al mondo, rispetto agli altri, e rispetto a dio.


(*) giurista e filosofo tedesco del diritto naturale

L’umanità è destinata a scrivere la storia. Deve farlo a partire dal senso della comunione della specie ; è ciò che conferisce alla politica la sua totalità. “La vera politica, scritto ancora Jean Lacroix, è la storia della realizzazione morale nel divenire umano„. La cultura consiste nel intraprendere e proseguire, senza sosta, uno sforzo di comunione universale. Il suo problema più profondo è quello della creazione per noi anche della nostra umanità, della realizzazione per tutti, concretamente, del diritto di essere uomo.

La cultura “fatto„ non, “fa fare„ perché significa ciò che è da fare. Tutta la costruzione della cultura può essere considerata, da questo punto di vista, come la lunga deviazione che parte dall’azione e torna all’azione. In un senso, la cultura è un allegato delle imprese di trasformazione del mezzo umano con il lavoro, ma è bene maggiormente, è la parola che oltrepassa e supera. Con essa, il dialogo penetra e straripa il mondo del lavoro.

“Infrastruttura„ molto quanto “sovrastruttura„, la cultura è fatta di valori tecnici, scientifici, economici, politici, estetici, morali, che non sono il privilegio di alcuna nazione o civilizzazione, di nessun’elite o classificano, ma che li attraversano tutte. Che la cultura non riguarda più l’universalità, si impoverisce, si solidifica, diventa mancanza di cultura. Che una classe o un gruppo pretenda di accaparrarselo, non è soltanto accademismo, sofisticazione, mistificazione. Che un governo lo sottoponga, soffoca e gira in scherno. Diventata, direttamente o non, strumento dello sfruttamento o della sovranità di una classe, di un popolo, o di una nazione, è colpevole. Certamente è la ragione per la quale il pensiero rivoluzionario, sotto tutte le latitudini, nutrisce un risentimento contro alcune forme della cultura che gli sembrano identificarsi alla cultura pervertita, “proprietà„ di quelli che la utilizzano per stabilire meglio il loro potere e servire meglio i loro interessi.

Il problema elementare, che condiziona tutti gli altri in questo tempo dove i costi fondamentali dello statuto umano della vita non sono coperti per le masse umane, questo problema è quello dell’accesso a questo modo di vita che è l’esistenza culturale. Folle, anche nei paesi industriali, rimangono molto al di sotto della media del livello materiale e culturale, sono male formate intelettualmente ed escluse dal consumo dei beni culturali. Quando il divorzio si stabilisce tra una presunta elite coltivata ed una massa che non può gustare opere che non sono fatte per essa, la cultura manca alla sua funzione. Separata del suo popolo, l’intelligenza gli diventa impermeabile o inintelligibile, e non è soltanto intelligentzia soddisfatto di essa stessa e presa al suo gioco ; in mancanza di popolo per portarlo, l’arte cessa di essere comunione e non può celebrare più le bellezze del mondo e manifestare la gioia.

Una politica della cultura è autentica soltanto nella misura in cui, lungi da accontentarsi di garantire la conservazione del patrimonio, è azionata dalla volontà di creare un mondo nuovo più rispettoso dei valori umani. Reformatrice almeno, rivoluzionaria più profondamente, trova la sua origine non nel gioco puro di forze sociali affrontate, ma nella coscienza morale. Politica per l’uomo, è in modo assolutamente essenziale la politica di creazione dell’uomo da parte dell’uomo e coincide con l’obbligo morale che, sola, conferisce all’impegno politico nella sua realtà storica (almeno finché non è denaturato) un valore universale.

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